Nella scorsa puntata vi avevo lasciato con il dettaglio di un quadro che rappresenta un momento importante nel mo percorso artistico.
Un quadro che portai in varie esposizioni e che raccontava tanto di me.
Tutto quel rosa, il fucsia, la delicatezza nei tratti, i fiori e le farfalle… stavo facendo pace con la me bambina. Ho liberato tanto di quel rosa e fucsia quasi da convincermi che fosse il mio colore preferito. Finalmente mi lasciavo trasportare dal colore, lo lasciavo fluire. I miei tratti cominciavano ad ammorbidirsi e mi avvicinavo ai fiori. Ma soprattutto avevo il benestare del Maestro che mi incitò a proseguire lungo quella strada, ad approfondire quella tecnica e a seguire il mio cuore.
Tra l’altro, per vari motivi la scuola cambiò sede e il Maestro Gianni Ambrogio cominciò ad ospitarci proprio nel suo studio. Ricordo come fosse oggi la prima volta che ci entrai, mi colpii così tanto che non sapevo dove collocarmi in quello spazio così ricco di arte.
Mi lasciai guidare e mi venne assegnato un posto vicino alla finestra ma soprattutto vicino a Picasso, il pappagallo del Maestro.
Lui si abituò ben presto a me, a noi tutte. Tentai numerose volte di farlo parlare ma lui, ovviamente, parlava solo se ne aveva voglia. Con la sua vocina stridula urlava: “Papà, Papà” per richiamare le attenzioni del suo padrone. Ma la cosa più divertente accadeva quando accendevamo i phon per asciugare i nostri quadri, in quei momenti strillava come un matto, gli piaceva un sacco, sembrava davvero divertirsi!
Fu però straziante quando il Maestro mancò, noi allieve continuammo a frequentare la scuola con sua moglie alla guida ma Picasso era inconsolabile, chiamava suo Papà disperatamente e lo cercava in continuazione. Era triste e affranto come tutte noi.
Ricordo l’ultimo periodo che il Maestro fece lezione. Era malato, a quasi 87 anni non si rassegnava a lasciare l’insegnamento ma ogni tanto si doveva sedere e si appisolava. Subentrò pian pianino la moglie con cui io proseguii le lezioni per un certo periodo ma il Maestro lasciò un vuoto enorme.
Solo allora però riuscii a cominciare a dipingere sul serio anche a casa. Non si trattava più di prove cartacee ma di quadri veri e propri realizzati con la tecnica del collage e poi solo pittorici. Insieme alla moglie proseguii nello studio dei fiori, “spezzandoli” con spatolate e pennellate molto ricche, una delle tecniche tanto amate dal Maestro.
Queste immagini e questi quadri appartengono a quel periodo.
Ad un certo punto questa tecnica mi stava stretta, a casa dipingevo in modo molto più fluido e stavo intraprendendo anche un’altra strada. Decisi così di lasciare la scuola anche perché si stavano aprendo altre strade e gli obiettivi stavano cambiando.
Grazie alla mia cara amica Eleonora Artuso che gestisce un centro per le famiglie, il Sogno Numero 2 di Treviso, feci varie esperienze di insegnamento ai bambini. Era un periodo in cui giocavo molto con i miei figli, li facevo sporcare completamente col colore, dipingevano con tempere e acquarelli, disegnavano con matite, gessi e pastelli, in più avevano a disposizione i miei glitter, spray, adesivi, punch di tutti i tipi. Ero pronta per aprirmi anche ad altri bambini. Con Eleonora strutturammo dei corsi in cui durante ogni lezione si prendeva ad esempio un quadro di un pittore famoso e i bambini lo interpretavano, in modo differente a seconda delle età. E fu così che ristudiai Monet, Frida Khalo, Mirò, Van Gog… Fu un’esperienza entusiasmante e totalizzante, i mie figli se la ricordano ancora, ovviamente coinvolsi anche loro, spero la ricordino anche gli altri bimbi.
Incominciai anche a conoscere altre creative, artigiane e artiste che condividevano con me l’amore per la manualità, il craft, tutto ciò che si può realizzare con le mani e con il proprio estro. Pian pianino entrai in quel mondo che ammiravo solo dallo schermo del mio tablet e cominciai a frequentare fiere come Abilmente e Mondo Creativo ma soprattutto ricominciai a studiare mi appassionai sempre di più al cucito. Scrivevo già nel blog ma aprire gli account prima di Facebook e poi di Instagram fu davvero importante per il mio lavoro.
Inaugurai il sito Rosa e Turchese e aprii il mio Etsy shop. Le foto meravigliose sono di Daniela Katia Lefosse.
Grazie a The Colorsoup l’idea di fondere arte e moda sembrò realizzarsi.
Dall’immagine di alcuni miei quadri feci stampare dei tessuti con cui realizzai vari accessori, astucci, piccole borse e foulard. Feci una sorta di collezione che allora mi sembrò assolutamente perfetta. Avevo curato ogni dettaglio, dalla minuteria alle cerniere speciali. Cucivo per ore, sbagliavo e ricominciavo. Curai sempre più la mia immagine sui social, dalle foto alla comunicazione, sputai sangue. Ci credevo con tutta me stessa, la collezione “Arte da Indossare” mi sembrò la cosa più bella al mondo.
Feci realizzare anche dei quaderni che ho amato tantissimo
Purtroppo non ci fu il successo che avevo sperato. Ora che posso ragionare a mente fredda mi rendo conto di tutte le pecche di quel progetto ma allora ne fui dilaniata.
Una cosa di cui vado molto fiera però sono i grembiuli, realizzati in lino purissimo e inserti di tessuto Rosa e Turchese. Quello che ho conservato mi accompagna da alcuni anni ed è assolutamente perfetto!
Raccolsi molti consensi ma in termini economici ben poco purtroppo.
E lei, la mia piccola collezione “Arte da Indossare” è stata una mia creatura, ci ho creduto tantissimo ma è stata un emerito flop.
Col senno di poi lo posso dire, faceva acqua da tutte le parti ma l’amore con cui l’avevo studiata e realizzata è stato veramente immenso!
Ho deciso di raccontarlo innanzitutto perché penso sia importante capire che niente è facile e non sempre le cose vanno come si desidera.
Però ne faccio tesoro per le ragioni che vi elenco qui di seguito.
1.Che non sono assolutamente multitasking.
2. Non sono capace di dipingere e cucire allo stesso tempo. Per cercare di stare dietro a tutto mi dovetti affidare a terzi e diventò troppo oneroso dal punto di vista economico e in termini di tempo. Tempo tolto alla famiglia e a me stessa che mi procurava solo ansia e stress.
3.Che probabilmente era fuorviante per il mio target vedere realizzati “prodotti” così diversi. Magari chi mi vede dipingere può non apprezzare il fatto che possa anche cucire accessori che, tra l’altro, proprio perché derivano da un’opera artistica avrebbero un valore molto più alto di quello di mercato.
Ci ho impiegato quasi due anni a capirlo.
però sono anche convinta che per comprendere quali sono i nostri limiti bisogna osare. Bisogna buttarcisi nelle situazioni, affrontarle di petto.
Bisogna però anche analizzare con attenzione i pro e i contro, i guadagni, i ricavi e la fattibilità del progetto. Il mio non era fattibile. Non in quei termini e con i mezzi e gli spazi di cui disponevo.
Nulla mi vieterà in futuro di affidarmi a terze persone a cui lo delegherei occupandomi solo del design.
Sono stata malissimo, ho rimesso in discussione tutto il mio lavoro e tutta me stessa.
C’è voluto del tempo prima di ritrovare la serenità.
Come mi capitò altre volte la pittura mi fu d’aiuto.
Ricominciai a dipingere solo per il gusto di farlo e ritrovai la serenità.
Ritrovai il fulcro di tutto.
Ritrovai me stessa.
E’ stato un percorso lungo in cui ho capito che non posso fare a meno di dipingere.
E’ la cosa che so fare meglio, mi fa stare bene e può far star bene anche le persone che si affidano a me. E’ proprio su questo a cui sto lavorando adesso.
Da quando ho iniziato a ricevere le prime richieste di quadri su commissione ho capito che posso fare qualcosa anche per le altre persone.
I fiori sono lo strumento, la pittura è tutto!